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Polícia Militar do Estado do Paraná
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I dati ci dicono che l’Italia non è il Paese più promettente per i giovani (tanti i talenti che formiamo per poi regalare all’estero) e nemmeno per gli imprenditori. Eppure, esiste chi ha entrambe queste caratteristiche e riesce ad avere successo. Anzi, sono sempre di più gli under 35 che scelgono di gettare il cuore oltre l’ostacolo e provare a lavorare come autonomi.

Perché? Perché se è vero che fare i dipendenti dà certo maggiori garanzie di sicurezza, tra entrate fisse, ferie e malattie pagate, è altrettanto vero che troppo spesso, anche se si è dotati e competenti, lo stipendio è tutt’altro che allettante, le possibilità di crescita scarse e poco meritocratiche, la libertà di espressione pressoché nulla. A fronte di nuove tecnologie e boom digitale, poi, il divario generazionale tra i cosiddetti «boomer» e i più giovani «millennial» o «zeta» si è accentuato, diventando foriero di disallineamenti e disarmonie sul modo di lavorare e sui valori di riferimento comuni.

Secondo una ricerca presentata nel 2021 dall'Osservatorio sulla Felicità (associazione «Ricerca Felicità»), infatti, emerge un significativo disallineamento di valori tra aziende e dipendenti, in particolare giovani. Questi ultimi, rispetto alle generazioni precedenti, sembrano chiedere al lavoro un ruolo diverso, socialmente più significativo e che vada oltre la mera funzione di sostentamento personale. Non solo. L'indagine evidenzia che sono proprio i giovani a non vedere riconosciuti in misura maggiore e adeguata i loro meriti.

Si crea così un panorama dove i talenti, magari dopo un primo periodo in grandi aziende che attraggono con la forza del loro nome, anziché restare e crescere all'interno delle stesse, contribuendo all'innovazione, decidono di cambiare strada. Questo vale soprattutto per quelli con le competenze tecnologiche e una mentalità «nativa digitale»: due plus sempre più richiesti dal mercato e di cui c'è sempre più carenza, ma che bisogna essere disposti a pagare e a valorizzare a prescindere dall'età anagrafica. L'idea a cui molte realtà italiane restano invece ancorate è quella del «a una figura giovane non possiamo dare per principio un dato stipendio», che è un po' lo stesso discorso dello stare obbligatoriamente 8 ore in ufficio anche se si è produttivi e si raggiungono gli obiettivi in 6 ore. Si tratta, come sempre, di un quadro poliedrico e composito che al proprio interno contiene storie e motivazioni diverse tra loro.

Tratto da: https://www.vanityfair.it/mybusiness

 

Gli ‘under 35’ citati nel testo sono:



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